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L’Italia all’epoca della sua riproducibilità digitale

ritratti

In quel limbo sospeso tra la supponenza e l’indifferenza che solitamente caratterizza l’estate italiana, è stato approvato dal Consiglio dei Ministri  il DECRETO-LEGGE 31 maggio 2014, n. 83: “Disposizioni urgenti per la tutela del patrimonio culturale, lo sviluppo della cultura e il rilancio del turismo”. In un paese come l’Italia, un decreto di questo genere dovrebbe essere per settimane al centro del dibattito politico e sociale, considerando l’importanza e la consistenza del nostro patrimonio culturale. Ma non è così, purtroppo, e al momento si sono notati solo pochi interventi articolati sul testo del decreto, alcuni centrati su aspetti almeno apparentemente positivi quali la ratifica della detraibilità fiscale delle donazioni e degli investimenti in ambito culturale, altri più critici, soprattutto rispetto a temi controversi quali le risposte alle istanze che provengono dalle grandi emergenze culturali italiane (le aree archeologiche, il cinema, il teatro…), che molti giudicano insufficienti o quanto meno non ispirate a una visione organica o prospettica.

monalisa

Al di là del merito dei vari aspetti del decreto, per chi si occupa di “scritture digitali” è importante evidenziare un elemento particolarmente interessante del testo approvato. Si tratta dei riferimenti espliciti alla riproduzione fotografica dei beni culturali, ovvero dell’introduzione della “parziale liberalizzazione del regime di autorizzazione della riproduzione e della divulgazione delle immagini di beni culturali per finalità senza scopi di lucro quali studio, ricerca, libera manifestazione del pensiero, espressione creativa e promozione della conoscenza del patrimonio culturale”. Più precisamente, si affronta questa tematica nel Titolo III, articolo 12 del Decreto, dove al comma 3/B si dichiara:

“Sono in ogni caso libere, al fine dell’esecuzione dei dovuti controlli, le seguenti attività, purché attuate senza scopo di lucro, neanche indiretto, per finalità di studio, ricerca, libera manifestazione del pensiero o espressione creativa, promozione della conoscenza del patrimonio culturale:
1) la riproduzione di beni culturali attuata con modalità che non comportino alcun contatto fisico con il bene, ne’ l’esposizione dello stesso a sorgenti luminose, ne’ l’uso di stativi o treppiedi;
2) la divulgazione con qualsiasi mezzo delle immagini di beni culturali, legittimamente acquisite, in modo da non poter essere ulteriormente riprodotte dall’utente se non, eventualmente, a bassa risoluzione digitale”.

In realtà non si tratta di un provvedimento particolarmente innovativo, ma solo della (tardiva) ratifica di uno scenario che a livello europeo sta prendendo forma da diversi anni, a partire dagli intenti strategici definiti nella cosiddetta Dichiarazione di Berlino (2003), dove si esplicita che è necessario “encouraging the holders of cultural heritage to support open access by providing their resources on the Internet”, fino all’adozione – nei principali paesi – di specifiche norme orientate all’accesso ai beni e al permesso di riproduzione, di solito con il solo vincolo del rispetto del principio della tutela, solitamente espresso dal divieto di utilizzare flash o altri dispositivi di illuminazione e dall’ovvio divieto di “toccare” le opere, ma non necessariamente dal divieto di utilizzo di supporti statici (come accade ad esempio in Francia, dove è sufficiente pagare un biglietto di ingresso in più per poter piazzare un cavalletto nelle sale dei musei e ottenere così fotografie migliori). In ogni caso, è importante che anche in Italia sia stato finalmente introdotto il concetto di riproducibilità digitale del patrimonio storico-artistico: si aprono opportunità interessanti soprattutto per chi ha bisogno di utilizzare immagini a scopo didattico, ma anche per i creativi e per tutti coloro che avranno voglia di “raccontare” per immagini la nostra storia, contribuendo alla valorizzazione della nostra eredità.

Quello che colpisce negativamente, piuttosto, è la contraddizione che il Decreto esprime nell’articolazione dei due punti del comma specifico, su cui peraltro si sono concentrate al momento le varie critiche già pubblicate (si veda a titolo di esempio questo contributo). Il punto 1, infatti, esprime sostanzialmente una visione aperta e più in generale attenta all’evoluzione della cultura digitale (sia pure con qualche limitazione di troppo). Il punto 2, al contrario, sembra voler ridimensionare quanto dichiarato in precedenza, sottolineando che è importante divulgare “con qualsiasi mezzo” le immagini, ma introducendo due vincoli difficilmente spiegabili se non come residuo di garanzia nei confronti dell’editoria tradizionale o di altri titolari di privilegi acquisiti in questo ambito. Di fatto, il divieto di ulteriore riproduzione da parte dell’utente e il concetto di bassa risoluzione digitale sono affermazioni astratte, che non tengono conto della realtà effettiva; sono inoltre contraddittorie e impraticabili. Che cosa implica ad esempio la non riproducibilità ulteriore? Che se si pubblica una fotografia scattata in un museo su un Social Network questa non può essere ricondivisa da altri? Se così fosse l’affermazione sarebbe in aperta contraddizione con quanto dichiarato dallo stesso comma… e in ogni caso chi può verificare (e come? E poi perché dovrebbe?) che questo non accada? E poi è così che funzionano le reti sociali, basterebbe prenderne atto: la scrittura digitale (ambito in cui rientrano i racconti per immagini) è strettamente integrata con la ri-scrittura, la rielaborazione, la viralità. Inoltre, non è chiaro cosa significhi bassa risoluzione digitale. Le tecnologie si evolvono rapidamente, un Tablet di ultima generazione arriva agevolmente a risoluzioni di 1920×1080 pixel, un qualsiasi smartphone scatta a 5-6 megapixel. Sono parametri che rientrano in quanto affermato dal Decreto? E che cosa significa l’avverbio eventualmente? Che si può pubblicare un eBook su Giotto utilizzando come illustrazioni immagini realizzate autonomamente e reimpaginate a 1080 pixel di risoluzione orizzontale?

In sostanza, come accade spesso in Italia, è stata introdotta una norma che non esplicita in modo del tutto chiaro cosa si può fare, ma lascia un margine di discrezionalità nella sua applicazione. Se sarà interpretata in modo elastico, aperto, realmente “liberale”, allora potrà innescare un processo virtuoso, aprire spazi finora impraticabili alla didattica e alla creatività. Se invece sarà interpretata in modo restrittivo allora ci ritroveremo ad annaspare nella solita palude: anche se questa volta potremo fotografarla e condividerla su Instagram…

[nelle immagini: Parigi, Museo del Louvre, 2010]