Ma quando diventano disponibili i contenuti digitali? E dove? Un esempio dal Canada…

Quando si parla di contenuti digitali si dimentica spesso che il primo passo verso la tanto auspicata “società della conoscenza” consiste semplicemente (si fa per dire) nel rendere disponibili e accessibili i contenuti in quanto tali, soprattutto a scopo di studio o di ricerca. Questo può significare molte cose, ma al di là delle varianti nelle interpretazioni e nelle visioni strategiche appare chiaro che per costruire i presupposti di una società e di un’economia realmente knowledge-based bisogna partire dalla digitalizzazione sistematica dell’eredità storico-culturale. Rendere cioè disponibile e accessibile, facilmente, liberamente e a tutti, ciò che altrimenti sarebbe difficile da reperire e consultare. Su queste basi, del resto, ha preso forma il dibattito sulle biblioteche digitali, e su queste basi si è sviluppato negli anni. Ma in concreto che cosa si è fatto? In Italia pochino, anche se potremmo e dovremmo essere all’avanguardia proprio in campi come questo. Altrove qualcosa in più, ma con dei limiti legati – ormai appare sempre più chiaro – alla cecità delle politiche degli editori (e talora dei governi), ovvero alle restrizioni poste da chi ritiene di dover difendere il copyright (si legga: rendite di posizione sulla gestione della vendita di libri equiparati a merci) anche su opere scritte e pubblicate decenni fa da autori che hanno compiuto il ciclo della loro vita e le cui aspettative consistevano probabilmente nella massima diffusione possibile delle loro idee e della loro scrittura. Una diffusione capillare e universale che le tecnologie digitali rendono teoricamente e praticamente possibile, se non fosse per l’approccio sostanzialmente protezionista di editori e legislatori, che si professano fautori della cultura mentre di fatto ne limitano la disseminazione. Ma ora forse qualcosa sta cambiando. La rete introduce ad esempio anche in questo campo elementi di globalizzazione grazie ai quali si possono portare avanti operazioni culturali che in scenari più tradizionali sarebbero osteggiate o vietate ma che sfruttando la diversità delle normative sui diritti d’autore tra paese e paese diventano possibili. Così in Canada, dove le leggi sul copyright sono meno restrittive che altrove, l’Università del Quebec (insieme ad altri enti locali – già, proprio così) ha digitalizzato integralmente tutte le opere di Albert Camus, autore che in Francia è ancora “protetto”, ovvero proprietà degli editori, e le ha messe liberamente e gratuitamente a disposizione di tutti gli studiosi, i lettori e gli appassionati, sia in facsimile digitale che sotto forma di testi trascritti e riutilizzabili (in RTF e altri formati editabili). Avvertendo, in un box che appare quasi commovente, che ciò che nel Quebec è considerato ormai di pubblico dominio in altri paesi potrebbe violare delle leggi, anche se stiamo parlando di un autore morto nel 1960. Che dire? Bravi: senza inutili orpelli e con un investimento presumibilmente limitato, regalano a tutti un pezzo importante della storia e della cultura del XX secolo. Come del resto hanno già fatto negli Stati Uniti poco tempo fa, aprendo al pubblico della rete gli archivi (digitalizzati) del presidente Kennedy. Questa è la strada giusta: digitalizzare e rendere pubblico, cioè di tutti, ciò che è nato per essere di tutti ed è giusto che sia di tutti. Bisognerebbe spiegarlo a certi nostri ministri, bibliotecari o editori, evidentemente ancora convinti che l’accesso alla cultura sia di pochi e per pochi. Per inciso, a guardarli bene, scelti non si capisce in base a quale criterio…

2 Commentsto Ma quando diventano disponibili i contenuti digitali? E dove? Un esempio dal Canada…

  1. Condivido l’intero discorso. E cerco di comportarmi di conseguenza, impegnandomi a (ri)pubblicare sul web, man mano che ne emergono il bisogno o il vezzo, vecchi e nemmeno tanto vecchi miei contributi a stampa. Questo in considerazione del fatto anzi dei fatti che: – molti editori del settore educativo non sono più sulla piazza e dunque buona parte della produzione ‘storica’ non è più disponibile; – delle questioni educative, almeno per come venivano affrontate ai tempi della pedagogia progressista, gliene frega a molto pochi, oggi; – inebriati dal profumo della carta i sacri difensori dei diritti autoriali non hanno occhio per seguire gli anarchici della rete. E’ dunque un piacere far leggere a qualche sparuto studenti odierno ‘come erravamo’ (http://ltaonline.uniroma3.it/come-erravamo.html). Se poi qualcuno eccepisce, come non detto, anzi come non fatto: si spegne la luce e torna il protettivo buio su quelle pagine. E poi: se altri, tanti altri facessero la stessa cosa, presto avremmo disponibile e leggibile un pezzo delle nostre storie; e se questo avvenisse, non saremmo in Italia.

  2. admin says:

    Bravo Roberto! :) Così si dovrebbe fare! E il fatto che ci sia qualcuno che “osa” è un segnale incoraggiante…